Haiku

 

Una manciata di sillabe: 17 per l’esattezza e condensate in tre versi rispettivamente di 5, 7 e 5 ciascuno.

Uno stile espressivo che è andato affinandosi nel Giappone del XVI secolo fino a divenire l’emblema dell’arte poetica di questa cultura ispirata, in particolare, allo spirito sobrio ed essenziale dello zen. Uno stile del sentire, prima ancora che dell’esprimersi, che si è andato diffondendosi nei secoli fino a giungere … a questi liti!

Più che descrivere -  e come farlo con così poche parole – si tratta di evocare.

Il primo verso, di apertura, propone il tema che si allarga, nel secondo verso, in un suo svolgimento. Il terzo è di chiusura. Questa, tuttavia, dev’essere tale da produrre una riverberazione che si perpetua, come il toccare delle corde che producano un’eco durevole nella cassa di risonanza dell’animo.

Nella tradizione originaria, il tema era spesso di carattere naturalistico. Un’annotazione sul mondo esterno che tuttavia non deve restare pura descrizione. Il segreto è quello del rispecchiamento con una realtà del mondo interno che, con quello esterno, entra in risonanza.

Il tutto nella sfida, estrema in certi casi, di racchiudere la complessità di un’emozione nei pochi versi concessi. Ma perché imprigionare la vastità e libertà del sentire nel rigido schema di un metro? Difficile dare risposta ad un quesito che si ripropone, senza eccezioni, in tutte le culture, specie arcaiche (è conquista recente lo svincolarsi della poesia da una metrica).

Nella tradizione vedica, ci ricorda Roberto Calasso nel suo mirabile Ka (Adelphi), gli inni raggiungevano gli dei solo se montati su carri. Un contenuto ha bisogno di un contenitore, come il vino di un calice. E così l’infinito del finito, almeno per noi mortali che tali ci definiamo appunto per la coscienza del limite in cui si dispiega il ciclo breve della nostra esistenza.

In un mondo di sproloqui, infine, come non farsi attrarre dalla sobrietà dell’essenziale? Ci vuole a volte un lavoro di limatura, di cesello perché, per quanto si rigirino, quelle parole recalcitrano a stare dentro il recinto che una mente antica (il poeta Basho, si dice), ma dotata di profetico intuito, decise un tempo.

Un gioco che – attenzione - può essere contagioso ed insinuarsi nella mente come una piccola ossessione. Da questa, in particolare, è bene guardarsi: fare dell’haiku una specie di puzzle e perdere la sua vera essenza: quella dell’evocazione.                                              

 Riccardo Zerbetto